lunedì 11 dicembre 2017

Lettera ad un amore mai nato (Racconto)

Comincio così a parlarti, nel modo più diretto e brutale!

Non un “ciao”, non un “caro”: non perché tu non possa meritarlo, ma solo perché sei un amore mai nato.
Sei stato la tempesta che improvvisa arriva e devasta, e ha lasciato solo ferite aperte.

La tua storia è fatta solo di giorni interminabili, malinconia e tristezza..ma ho deciso di parlarti perché sei ancora attaccato alle mie carni e so che mi ascolterai, in silenzio, come sempre, in questo buio tra sigarette e vino.

Ti ho trovato così improvvisamente dentro di me: non pensavo fossi proprio tu a farmi sobbalzare, a farmi sentire come un piccolo re su questa terra.
Alimentavi pensieri e sogni, e non capivo cosa stesse succedendo.

Era un giorno di primavera quando incrociai il suo sguardo e accarezzai la sua pelle: hai preso forma in quel momento, anche se la mia ragione non voleva.
Siamo andati avanti per molto tempo ma non si parlava di te, mi illudevo solo che fosse un modo per riempire i miei spazi vuoti.
Ero preso dalla mia vita, dalla mia voglia di conoscere il mondo in tutte le sue sfumature, non avevo tempo per dedicarmi a qualcuno.
E tu invece piano ti sei insinuato dentro di me.

Appena mi son accorto di te ho cercato di tenerti a distanza, ma hai usato parole nuove, che non sentivo da quasi mille anni e ti sei aperto un varco senza che io lo capissi.
Pensavo fosse facile tenerti a bada, ho provato a scacciarti con tutte le mie forze ma il tuo silenzio incantatore si è impossessato della parte più bella di me e l’hai usata: questo forse non potrò mai perdonartelo.
Eri lì ed io ti sentivo crescere: cambiavano i miei occhi, le mie priorità, cambiavano i miei pensieri non facevo altro che pensare a te.

Sorridevo finalmente e ti accettavo minuto dopo minuto: e ho cercato di farti conoscere la pelle dalla quale avevi preso vita…ma lui non ha voluto saperne di te.
Eravamo solo un semplice incidente di percorso, qualcosa di cui potersi sbarazzare con due parole.
Ora so che non eravamo importanti: ma allora credevo solo che si stesse difendendo da una cosa immensa, improvvisa profonda che nessuno dei due si aspettava.
E’ stato quello sperare che mi ha indebolito e mi ha lasciato preda della tua paura di non poter vivere: ma era la tua forza!

No, non volermene se non ti racconto lui, sarebbe banale: devi sapere solo che la sua pelle era fatta di vento e mare, che i suoi occhi erano prati incontaminati e che il suo sapore raccontava di terre sconosciute.
Da solo, mi sono trovato in un deserto che tu continuavi ad alimentare…ne sei consapevole? Non lo so piccolo amore, ma hai creato attorno a me il silenzio, quello che stiamo vivendo in questo momento mentre bevo il mio ennesimo bicchiere di vino e fuori nevica.
Mi hai dato dei sogni, ma si sono trasformati in incubi: ho smesso di dormire e quando ho provato a imbottirmi di sonniferi, tu come un’artista comprovato mi hai venduto bugie come verità.
Ti odiavo ma ti coccolavo…sapevo che eri solo una farsa, ma ti credevo…distoglievo il pensiero da te, ma ogni cosa che facevo mi riconduceva a te.
Non ho avuto scampo, ogni arma usata si è rivoltata contro di me: la mia pelle era avida del tuo desiderio ma il tuo desiderio non era altro che uno squarcio nel mio essere.
Ti ho parlato e ho cercato di farti capire che dovevi andare via: sembravo un pazzo su quella panchina, ma credevo mi avessi ascoltato quando ho guardato in fondo al baratro.
No, non hai avuto nessuna pietà per me.
Mi hai spinto verso il fondo e mi hai raccontato ancora favole: che le attese sarebbero state dolci, che il dolore che provavo sarebbe stato per una gioia infinita, che la fame di lui sarebbe stata sfamata.

Ma questo monolocale diventava sempre più grande e vuoto, eppure tu non smettevi di crescere: ripetevi che ogni mia rinuncia, ogni mio sacrificio sarebbero stati ripagati.
Il mio corpo si è deformato, la tua falsa realtà è divenuta la mia e sono passati giorni, mesi ma nulla accadeva e tu, tu che eri figlio della mia anima e del mio cuore, figlio prediletto e protetto, continuavi a ingannarmi con i tuoi giochi di prestigio.
La tua sicurezza mi inquietava, avevo paura di te: non ascoltavi le mie ragioni, quella poca razionalità, che mi era rimasta per fare le piccole cose come la spesa, lavarmi, parlare, la stavi soffocando con le tue grosse mani.
Mi soffocavi, ma io stupidamente ti lasciavo fare: io mi fidavo di te.
Passavo le mie giornate alla finestra a guardare senza mai vedere nulla davanti a me: sentivo solo la tua forza crescere.

Poi qualcosa è cambiato.
Quando ho preso a scrivere di te è che come se tu avessi cominciato a perdere le forze.
Le tue mani alla gola non erano più così forti, il tuo desiderio di esplodere è divenuto il mio desiderio di risalire il sentiero buio nel quale mi avevi relegato.

Mi sono sentito in colpa, lo ammetto.
Ho avuto la possibilità di capovolgere questo strano gioco delle parti, ma eri pur sempre figlio mio e ti ho preso ancora con me: ma solo per parlati come sto facendo ora.

Poi lascerò che la tua stanchezza, che la tua incoscienza, che la tua fantasia si dissolvano: ma devi ascoltarmi questa volta, senza nasconderti dietro i nostri ricordi.

Non ti odio, è come se dovessi poi odiare me stesso, ma non puoi vivere.
Sei ricordo di un dolore.
Sei un terremoto che ha fatto tremare le mie fondamenta.
Sei l’incubo che ho creduto sogno: e mi hai lasciato senza difese in balia della tempesta del tuo voler sopravvivere.
No, non puoi esistere anche se vorrei ancora crederti.
No, devi lasciarti andare lentamente.
No, non piangere, ti avrò sempre incollato alla mia pelle, ma ho ancora bisogno di credere alle mie realtà, ai miei mille me.
Voltati, non sentirai dolore, sparirai tra le piaghe che hai aperto nel mio cuore e le cicatrici che mi hai lasciato saranno un trofeo per ripetermi che sono un uomo migliore.

E’ arrivato il momento: l’ultimo sorso e dovrai sparire.

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