venerdì 5 gennaio 2018

Riflessioni di una mente malata

Sai cosa diventa triste dopo un po’, il fatto di dimenticarsi, di ignorarsi.
Sembra impossibile che le persone possano dimenticare quello che attraversano insieme, eppure è quello che accade.
Non più una parola o uno sguardo.
La leggerezza diventa un peso sul cuore e ogni scambio di pensieri e parole viene costantemente cancellato, spazzato via dal tempo come orme su una spiaggia battuta dal vento.
Si diventa una goccia, piccola e inutile, in mezzo al mare: ma era questo quello che il destino aveva riservato?
Il sole non ha più senso, una foto non è più un semplice momento ma taglio sul cuore, il ricordo diventa una crepa nell’anima che a stento riesce a tenersi su.
A questo aggiungi la totale, ignobile, infima indifferenza, quel silenzio che non ha un senso, ma che in fondo è il modo più facile e da vigliacchi per andare via da ciò che sfugge al nostro controllo.
Non pensare significa non scontrarsi, non arrivare ad una decisione ma lasciare che tutto scorra nella speranza che passi.
Tornare a credere che quelle sensazioni non siano mai esistite, che non abbiano mai preso corpo.
Nessun dialogo, solo mille addii, ma mai una decisione certa e sicura: il silenzio è la cortina che è stata eretta, in una battaglia condotta sin dall’inizio tra desiderio di volare e paura di farsi male.
C’è chi la chiama difesa di se stesso, c’è chi invece la chiama paura di rischiare: una linea talmente sottile da potersi confondere, mai netta, mai vera, che cambia a seconda dei battiti del proprio cuore.
Tutto questo non è triste?
Scrivere e parlare di migliaia di sogni e improvvisamente il buio, l’assenza?
Quello che grava è l’assenza: si potrebbe fare a meno di progetti e del sesso e di qualsiasi altro appiglio che nella nostra testa ci siamo costruiti…ma l’assenza…
Non trovi che sia la cosa più brutta da regalare ad una persona?
Non rispondere ad un saluto.
Non degnarla di una semplice parola o di una telefonata.
Anche uno sguardo viene cancellato nel momento in cui nasce.
Un mondo che diventa solo un cumulo di macerie che cancelli con un semplice click.
Non si tratta mai di capire chi, cosa, come, quando; chi più e chi meno; cosa è stato detto o interpretato.
Non si tratta di rancore, che è un sentimento ancora più ignobile e inutile da provare: ci sono domande alle quali sono state date risposte e altre poste che sono rimaste sempre sospese ed è stato scelto il silenzio.
Si potrebbe all’infinito, e giuro sarebbe infinito davvero, discutere e dibattere ma se qualcuno ti manca, se vuoi qualcuno combatti e non vai via senza nemmeno chiudere la porta.
Chiudere la porta significherebbe la fine, l’accettazione da entrambe le parti di qualcosa che non sarà mai: il silenzio e l’indifferenza sono solo un gioco al massacro.
Il più debole (che non significa sia il più innamorato) soccomberà, ma il più forte cosa avrà realizzato?
Si sarà liberato da qualcosa che non ha mai voluto? Quindi è il principe delle menzogne.
Oppure avrà raggiunto il suo scopo? Difendersi?  Quindi avrà rinunciato a qualcosa a cui teneva….e questa sarebbe una vittoria o una perdita?
Sono riflessioni che faccio da un po’ di giorni ascoltando storie e pareri.
Ma sono pur sempre considerazioni di una mente poco lucida e per certi versi malata.
Il mio sistema di pensiero è fatto di bianco e di nero, di prove confutabili, di cose certe e dove si insinua il dubbio fa difficoltà a credere che ci sia una verità altra.
Resto della mia opinione: l’assenza, il silenzio, sono crudeltà che vengono inflitte e non un modo di difendersi per non farsi male.
La non risposta è una risposta? No, il non rispondere è solo una mancanza di fiducia in ciò che si è e che si vuol proiettare sugli altri, lasciando una libera interpretazione che non è null’altro che mancanza di prendere il toro per le corna e dire le cose come stanno.
E’ molto più facile accettare uno schiaffo che vivere con una porta semiaperta, stare seduti su una seggiola al tavolo e guardare se da lì qualcuno entrerà mai.

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