martedì 2 gennaio 2018

Un giorno....accadde...(racconto)

Questa mattina ho smesso di sperare.
No, non ho smesso di amarti: questa malattia rimarrà sempre con me, ormai ne son certo.
E' solo che ho riposto le armi per combattere, per averti accanto a me.
Non credevo potesse succedere così.
Come il sole caldo all’improvviso dopo un temporale estivo: è stato un duro colpo e ho sentito il cuore andare in frantumi e la pelle bruciare.

La mia giornata è cominciata come sempre alle 7.30, l’ora in cui guardo se mi hai lasciato un messaggio come hai fatto quando mi hai voluto nella tua vita; ma come negli ultimi 3 mesi, nemmeno una parola.
Ho guardato il soffitto, ho respirato forte per sopprimere le lacrime e con quel briciolo di volontà, che ancora mi resta,  mi sono fatto forza e sono sceso dal letto: nulla di strano, niente di nuovo.

Sono andato in bagno e mi sono fermato davanti allo specchio: qui ho avuto il primo sussulto.
Da tempo non mi guardavo così da vicino, avevo una percezione di me molto sfocata: mi bastava sapere che per te ero erotico, sexy.
Ma di fronte a me adesso si presentava una persona che non conoscevo: il viso smunto, la barba lunga tanto da coprirmi le labbra, occhi spenti.
Da quanto tempo avevo smesso di guardarmi? Da quanto ti avevo consegnato tutto di me?
Infastidito da quell’essere rinunciatario, ho preso un rasoio e ho cominciato a dare forma al mio viso: e quello smarrimento è diventato, lentamente, un ritrovarsi dietro quella maschera di dolore.
Ho fatto una doccia ed è stato così bello sentir scorrere l’acqua sul mio corpo, una sensazione di libertà accompagnava i gesti di sempre che prima sentivo imposti.
Ho sentito un piccolo sorriso disegnarsi sulle mie labbra mentre infilavo quell’accappatoio: sì quello che hai usato tutte le volte che sei rimasto a dormire da me.
L’ho lasciato lì per mesi senza toccarlo, senza guardarlo per quella paura ancestrale che se avessi provato ad usarlo tu non saresti tornato.
Non sei mai tornato: questo mi ha fatto sorridere.
Quell’accappatoio era colorato di tutte le tue promesse eppure questa mattina era solo uno stupido accappatoio blue.

Sono andato in cucina e anche qui cosa strana non ho preparato il solito espresso doppio allungato con acqua, quello che tu ami tantissimo: era l’ennesimo modo per sentirti ancora vicino a me.
No, ho preso la mia tazzina preferita che avevo sepolto dietro le mug, e mi sono fatto il mio espresso.
E mentre vedevo venir giù il caffè, un brivido ha scosso il mio corpo e ho capito.
Ho capito che cominciavo a non sperare più.
Forse una delle poche cose che mi era rimasta, l’unico appiglio di questi mesi era lei: vana, inutile, piccola ma era qualcosa a cui aggrapparsi.
Si è sgretolata così, con naturalezza; spazzata via da una routine interrotta in un giorno di sole, un giorno come un altro.

Ho provato a salvarla mentre sorseggiavo il mio caffè sul divano guardando il soffitto, ma tutti quei motivi validi che l’avevano tenuta viva, scivolavano via.
Via dalla mia mente, via dal mio stomaco, via dalla mia pelle: sentivo la morsa delle catene allentarsi, mi guardavo i polsi e i segni adesso potevo vederli; ma li sentivo più leggeri.

Quando capirai che questa prigionia è ormai alla fine, so che ritornerai per tenermi ancora con te: ma anche se ti amerò, perché gli amori impossibili sono quelli che non ti lasciano mai, sarò già via, con un sorriso sulle labbra, con un cuore da curare e con un me da ritrovare.

No, cerca di non odiarmi ma capiscimi: ti ho atteso fino allo stremo delle forze e devo tornare a respirare, capire che ho ancora amore da poter dare, che tutte le ferite che mi hai inferto possono essere i miei trofei da esporre per non soffrire più

No, non smetterò di amarti: ho solo smesso di crederti, respirarti, idealizzarti, cercarti, viverti attraverso l’elemosina emotiva che mi procrastinavi ogni tanto.

No, ho smesso di essere la tua vittima certa e non vestirò i panni di un carnefice.


No, voglio solo riavere me stesso.

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